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Coronavirus: quello che c’è da sapere -
6 Luglio 2020
Origine naturale: È possibile creare in
laboratorio dei “virus chimera”, unendo
frammenti di acido nucleico di due o più
virus diversi. Una delle terapie
oncologiche più avanzate (CAR-T,
Chimeric antigen receptor T cells)
utilizza virus ingegnerizzati per
attaccare cellule tumorali specifiche.
In teoria, è possibile creare nuovi
virus con fini malevoli, ma non è
certamente il caso del SARS-CoV-2. Una
recente ricerca ha chiaramente
dimostrato che questo virus non è stato
costruito in laboratorio, né è stato
manipolato artificialmente, dal momento
che il suo genoma non deriva da alcun
ceppo virale precedentemente utilizzato.
Trasmissione fecale: Un recente studio
ha evidenziato la presenza di virus
attivo nelle feci dei pazienti affetti
da COVID-19, suggerendo la possibilità
di una trasmissione oro-fecale o
respiratorio-fecale. Durante la pandemia
di SARS del 2003, causata da un virus
molto simile al SARS-CoV-2, a Hong Kong
si sono infettate 329 persone e 42 sono
morte a causa di condotte fognarie
difettose, che hanno causato
l’aerosolizzazione di feci contaminate.
Anche le lacrime possono diffondere il
contagio. I ricercatori dell’Istituto
Spallanzani hanno isolato il virus nei
tamponi oculari di una paziente.
Pazienti pre-sintomatici: I dati
scientifici disponibili dimostrano che
il virus viene trasmesso in prevalenza
da persone con sintomi e che la
diffusione è più elevata nelle vie
respiratorie superiori entro i primi 3
giorni dall’esordio di questi sintomi.
Prima dell’insorgere di sintomi
specifici (fase pre-sintomatica), per un
periodo variabile di due/ tre giorni a
partire dal momento dell'infezione, le
persone infette possono essere
contagiose. Secondo un modello
matematico elaborato dall’Università di
Oxford, il 40% delle infezioni è causato
da persone sintomatiche, il 10% da
contatto indiretto con superfici
contaminate, il 5% da asintomatici e il
45% da pre-sintomatici, che quindi,
avrebbero un ruolo significativo.
Da uno studio recentemente pubblicato
sulla popolazione di Vo’ Euganeo,
Padova, emerge che il 42,5% dei pazienti
positivi (esito di test molecolari) sono
asintomatici. Inoltre, non si
individuano significative differenze
nella carica virale tra sintomatici e
asintomatici.
Persistenza ambientale: A differenza dei
virus gastrointestinali come il
norovirus e l’epatite A, che possono
trasmettersi attraverso alimenti
contaminati, i virus dotati di envelope
o pericapside, quali i coronavirus, alla
cui famiglia appartiene il SARS-CoV-2,
sono molto meno stabili nell’ambiente. I
coronavirus sono inattivati alle normali
temperature di cottura (70° C). Sono in
corso studi per valutare il tempo di
sopravvivenza del SARS-CoV-2 sulle
superfici dei cibi in diverse condizioni
di temperatura.
Ad oggi non sono state rilevate tracce
di SARS-CoV-2 nell’acqua potabile. Gli
abituali trattamenti adottati negli
acquedotti, e in particolar modo la
clorazione e l’irraggiamento con raggi
ultravioletti, hanno dimostrato di
essere efficaci contro altri coronavirus
umani, quindi si suppone inattivino
anche il SARS-CoV-2.
Non è certo per quanto tempo il virus
possa sopravvivere sulle superfici, ma
sembra comportarsi come altri
coronavirus che possono persistere per
alcune ore o fino a diversi giorni, in
base al tipo di superficie, alla
temperatura, al tasso di umidità.
Sintomi: Secondo il CDC (Centers for
Desease Control and Prevention, U.S.
Department of Health & Human Services,
USA Gov.) i sintomi della malattia
COVID-19 sono: febbre, tosse, difficoltà
respiratorie, brividi ripetuti, dolori
muscolari, mal di testa, gola
infiammata, perdita dell’olfatto e/o del
gusto.
Test RT-PCR: Per la diagnosi
dell’infezione viene prelevato un
campione dalle vie respiratorie del
paziente, che viene analizzato
attraverso metodi molecolari di
real-time RT-PCR (Reverse
Transcription-Polymerase Chain Reaction)
per l’amplificazione dei geni virali
maggiormente espressi durante
l’infezione. I test rapidi, ormai
disponibili, sono in grado di ridurre i
tempi di risposta a un’ora circa,
rispetto alle quattro-sei ore richieste
dalla maggioranza dei sistemi
attualmente in uso. Il rilevamento delle
proteine virali (gli antigeni) nei
campioni respiratori del paziente viene
ritenuto ancora non affidabile dall'OMS.
TAC: E' stato sviluppato in Cina ed è
disponibile in Italia presso il
Policlinico Campus Biomedico di Roma, un
sistema informatico di analisi delle
immagini TAC che permette di distinguere
la polmonite da COVID-19 dalle altre e
in grado di calcolare il volume di
compromissione polmonare. Si tratta di
un utile supporto nella valutazione di
prognosi a andamento della situazione
clinica.
Test sierologici: Mentre i test
molecolari RT-PCR individuano il virus
SARS-CoV-2 nell’organismo del paziente,
i test sierologici (o immunologici)
permettono di misurare gli anticorpi che
il sistema immunitario produce in
risposta all’infezione. Gli anticorpi
compaiono con un ritardo di qualche
giorno rispetto all’esordio dei sintomi
e rimangono nell’organismo del paziente
anche dopo che l’infezione è stata
superata. Questi test sono utili per
capire la sieroprevalenza (stato di
diffusione del virus/stato di
immunizzazione della popolazione) e
potrebbero essere utili per valutare
l’efficacia dei vaccini.
I test convenzionali richiedono alcune
ore, devono essere eseguiti in
laboratori dotati di attrezzature
complesse, da personale esperto e
forniscono risultati di tipo sia
qualitativo (presenza o meno degli
anticorpi), sia quantitativo (titolo
anticorpale). Inoltre, questi test
riescono a misurare il potere protettivo
degli anticorpi (tecniche di
sieroneutralizzazione).
I test rapidi si basano su dispositivi
di semplice utilizzo anche al di fuori
dei laboratori, richiedono un
quantitativo minimo di campione di
sangue o siero/plasma e hanno tempi medi
di risposta di circa 15 minuti. Si
tratta di test qualitativi che rilevano
soltanto la presenza degli anticorpi,
non la quantità o la capacità
protettiva.
I dati disponibili indicano una certa
variabilità dei risultati tra i numerosi
test sierologici attualmente presenti
sul mercato. Su tali test mancano studi
di comparazione e validazione clinica.
Questo fa si che, benché vi siano
correlazioni fra i vari test, i
risultati ottenuti con un metodo non
siano sovrapponibili con i risultati
ottenuti con altri metodi.
Vaccini: Al momento non esistono vaccini
commercialmente disponibili contro il
SARS-Cov-2. L’attività di ricerca sta
però, viaggiando a una velocità mai
sperimentata in passato. Secondo i
rilevamenti effettuati dall’OMS e dalla
London School of Hygiene and Tropical
Medicine, i vaccini candidati sono 205:
26 basati su DNA, 14 su RNA, 42 su
vettore virale, 13 su virus attenuato o
inattivato, 62 su proteine e 48 che
utilizzano altre piattaforme o per i
quali non si hanno dettagli.
L’Istituto Spallanzani collabora con le
società italiane ReiThera e Takis alla
realizzazione di altrettanti vaccini; i
primi test sull’uomo sono previsti nel
mese di luglio. Dalle informazioni
pubbliche disponibili risultano
attualmente in fase clinica 25 candidati
vaccini. L’OMS ha lanciato un trial
randomizzato internazionale dei
candidati vaccini (studio controllato su
campione casuale), denominato Solidarity
Vaccine Trial, con l’obiettivo di
valutare sicurezza ed efficacia dei
candidati vaccini in fase di sviluppo,
in un’ottica di cooperazione
internazionale e di equità di accesso.
Per indurre la risposta immunitaria, i
candidati vaccini attualmente in fase di
sviluppo, utilizzano: il virus attenuato
o inattivato (es. morbillo,
poliomielite); gli acidi nucleici (DNA o
RNA), in particolare le informazioni
genetiche di una proteina del virus, di
solito la proteina spike che si trova
sulle punte della corona del virus (al
momento nessun candidato vaccino opera
in questo modo); un virus innocuo per
l’uomo, geneticamente ingegnerizzato in
modo tale da trasportare le proteine del
virus contro il quale si vuole
sviluppare l’immunità (es. il vaccino
per Ebola nel corso dell’ultima epidemia
in Congo); l’involucro esterno del virus
(proteine, frammenti di proteine,
particelle virus-simili) svuotato del
suo contenuto genetico.
L’EMA (European Medicine Agency) stima
che potrebbe essere necessario almeno un
anno prima che un vaccino contro il
COVID-19 sia pronto per essere approvato
e sia disponibile in quantità
sufficienti per consentirne un utilizzo
diffuso. In attesa che si arrivi a un
vaccino specifico, si stanno testando
vecchi vaccini realizzati con virus vivi
attenuati, sulla base dell’ipotesi che
questi vaccini possano influenzare il
sistema immunitario al di là della
risposta al patogeno specifico per il
quale sono stati realizzati.
Farmaci: Al momento la malattia si cura
con terapie di supporto (antifebbrili,
idratazione) e nei casi più gravi,
supporto meccanico alla respirazione.
Remdesivir approvato: L’unico farmaco
antivirale attualmente approvato per
l’utilizzo specifico contro il COVID-19
è il remdesivir, farmaco antivirale
originariamente sviluppato per il
trattamento delle malattie collegate ai
virus Ebola e Marburg. Negli Stati
Uniti, la FDA (Food and Drug
Administration) ha autorizzato l'uso in
emergenza del remdesivir sulla base di
un trial che ha mostrato alcuni
benefici. Lo stesso hanno fatto le
agenzie regolatorie in Giappone e nel
Regno Unito. Il 25 giugno anche
l’Agenzia europea per i medicinali (EMA)
ha raccomandato la “conditional market
autorisation” per il remdesivir per il
trattamento del COVID-19 in adulti e
adolescenti di età pari o superiore a 12
anni con polmonite, che richiedono
ossigeno supplementare.
Detametasone: Il trial nazionale
britannico Recovery ha evidenziato
l’utilità del detametasone per i
pazienti in condizioni serie o critiche.
Si tratta di un farmaco cortisonico
ampiamente diffuso come
anti-infiammatorio per uso umano e
veterinario.
Lopinavir inefficace: La combinazione
lopinavir/ritonavir si sta rivelando
inefficace. Il trial Recovery e il trial
Solidarity (OMS) hanno smesso di testare
questa combinazione, avendo evidenziato
la mancanza di benefici apportata da
questi farmaci.
Clorichina revocata: L’idrossiclorochina
è al centro di alcune controversie
politiche, in quanto è stata fortemente
promossa dal presidente americano Trump
e soprattutto da quello brasiliano
Bolsonaro, prima che un qualunque trial
ne potesse decretare l’efficacia; nonché
di veri e propri colpi di scena
editoriali, con ricerche sul suo
utilizzo prima pubblicate e poi
contestate e ritirate.
L’OMS ha pubblicato una rassegna sulla
letteratura disponibile in materia, da
cui emerge che l’utilizzo di questo
farmaco, associato o no con un
macrolide, non determina allo stato
attuale delle conoscenze, alcun
beneficio apprezzabile nella cura del
COVID-19, anzi, vi sono evidenze non
definitive, che possa determinare eventi
avversi in misura maggiore rispetto allo
standard di cura.
Lo studio internazionale Solidarity ha
definitivamente abbandonato
l’idrossiclorochina il 4 luglio, alla
luce dell’evidenza che il suo utilizzo
determina una modesta o nulla riduzione
del tasso di mortalità dei pazienti
ospedalizzati a confronto con lo
standard di cura. I responsabili del
trial Recovery hanno sospeso l’utilizzo
dell’idrossiclorochina, avendo
constatato, nel corso di verifiche
periodiche, che questo farmaco non
mostra alcuna superiorità sugli altri
trattamenti nella cura dei pazienti
ospedalizzati con COVID-19.
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) il
26 maggio ha sospeso l’autorizzazione
all’utilizzo off-label
dell’idrossiclorochina, e della
conseguente rimborsabilità, per il
trattamento dell’infezione da SARSCoV-2,
in ambito ospedaliero e domiciliare.
Nello studio clinico AMMURAVID (Società
Italiana di Malattie Infettive e
Tropicali) l’idrossiclorochina è stata
sostituita dal remdesivir.
La FDA ha revocato l’autorizzazione
all’uso in emergenza di clorochina e
idrossiclorochina per il trattamento del
COVID-19, sostenendo che, sulla base
delle evidenze scientifiche disponibili
è improbabile che questi farmaci siano
efficaci nel trattamento della malattia
e che, comunque sia, i potenziali
benefici non sono tali da bilanciare i
rischi di complicanze cardiache e gli
altri effetti collaterali noti.
Attualmente, lo studio Solidarity, a cui
aderiscono 70 Nazioni tra cui l'Italia,
sta prendendo in considerazione: lo
standard di cura del Paese, il
remdesivir e l'interferone β-1a
(utilizzato nel trattamento della
sclerosi multipla).
Farmaci Italia: In Italia, la
presentazione e l’approvazione delle
sperimentazioni e degli usi
compassionevoli dei farmaci contro il
COVID-19 prevede una valutazione
preliminare da parte della Commissione
Tecnico-Scientifica dell’AIFA (Agenzia
Italiana del Farmaco). L’Istituto
Spallanzani assume il ruolo di comitato
etico unico nazionale. Alla data del 18
giugno 2020 sono state approvate 35
sperimentazioni.
Tocilizumab: Gli attuali risultati di
ricerca. Con l'impiego del Tocilizumab
emerge una moderata riduzione della
mortalità. Si attendono i risultati di
altri studi randomizzati in corso per
ottenere una stima affidabile
dell'entità del possibile beneficio.
Ulteriori studi sui benefici del farmaco
in diversi stadi della malattia
conducono a esiti ancora contraddittori.
Remdesivir: Il miglioramento clinico
osservato in due gruppi diversi di
pazienti trattati con il Remdesivir è
nell’ordine del 60%. L’assenza di un
gruppo di controllo con placebo non ha
permesso di determinare con precisione
l’effettivo beneficio legato alla
somministrazione del farmaco.
Uso compassionevole: L’AIFA e il
comitato etico dello Spallanzani hanno
autorizzato, per pazienti con diagnosi
di Covid-19 con patologie polmonari
gravi o molto gravi, l’utilizzo dei
seguenti farmaci (uso compassionevole):
Remdesivir; Ruxolitinib (inibitore
selettivo delle Janus chinasi Jak1 e
Jak2, usato per il trattamento della
mielofibrosi); il Canakinumab (anticorpo
monoclonale umano anti Interleuchina-1β,
usato per molte malattie
autoinfiammatorie); l'Opaganib
(inibitore selettivo della sfingosina
chinasi-2 (SK2), con proprietà
antitumorali, antivirali e
antinfiammatorie); il Solnatide (peptide
terapeutico utilizzato per il
trattamento di edemi polmonari severi);
la Ribavirina per soluzione inalatoria
(farmaco antivirale indicato nel
trattamento di bronchioliti virali gravi
da virus sinciziale respiratorio nei
primi giorni di infezione).
Off-label: I farmaci off-label (in
commercio con altre indicazioni
terapeutiche, ma che, per le loro
caratteristiche e/o sulla base del
meccanismo d’azione, sono utilizzati
nella terapia contro il COVID-19)
autorizzati da AIFA sono: Eparine a
basso peso molecolare; Azitromicina;
Darunavir/cobicistat;
Lopinavir/Ritonavir. L'autorizzazione
per l'Idrossiclorochina è stata sospesa
il 26 maggio.
Plasma: A seguito di alcune promettenti
sperimentazioni, il 15 maggio 2020 è
stato avviato uno studio nazionale
comparativo randomizzato per valutare
l’efficacia, il ruolo e la sicurezza
nell'uso del plasma ottenuto da pazienti
convalescenti da Covid-19. Lo studio,
coordinato dal Ministero della Salute,
dall’Istituto Superiore di Sanità e
dall’AIFA, vede la partecipazione di 56
centri clinici in 12 regioni.
L’Istituto Spallanzani e la Fondazione
Toscana Life Sciences hanno avviato una
collaborazione finalizzata alla
produzione di anticorpi monoclonali a
partire dal sangue dei pazienti che
hanno superato l’infezione. |
Udated: July 2020. |
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